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Cosimo Formichella

Tradizioni popolari in Solopaca

1983

 

 

 

…(pp. 37-42)

 

Superstizioni e credenze

 

 

Un tempo le superstizioni erano molto diffuse tra il popolo, ma oggigiorno sono quasi del tutto sparite, grazie alle migliorate condizioni di vita e ai progressi della scienza.

Presagio di sventura era, ad esempio, il battito dell’occhio destro, mentre beneaugurate era il battito del sinistro:

Uocchio ritto core afflitto

Uocchio manco core franco.

Altri segni di malaugurio erano la rottura di uno specchio e l’olio versato involontariamente a terra. Beneaugurate invece era se si versava il vino.

Intraprendere un viaggio, principiare un lavoro, convolare a nozze, di venerdì o di martedì portava male:

Lo venerdì e lo marte[31]

non si sposa e non si parte

e non si dà principio d’arte.

Raccogliere i tizzoni spenti e riutilizzarli avrebbe provocato la morte del capofamiglia.

La donna durante il periodo delle mestruazioni non poteva fare salami, pane, ecc. perché tutto sarebbe andato a male, né poteva salire su di un albero e raccoglierne i frutti: lo avrebbe fatto morire.

Un’altra nota credenza era che, se la festività di San Sebastiano cadeva di giovedì, nel corso dell’anno in quel determinato giorno non si potevano assolutamente intraprendere lavori domestici, soprattutto relativamente a cibi preparati in casa e da conservare: insaccati, salsa di pomodoro, ecc.

Per togliere le verruche bisognava andare sul greto del fiume, estirpare una pianta di tamerice e ripetere tre volte: Tamarice, tamarice, u cumpare (o il nome della persona) tene u porro e nun me dice. La verruca sarebbe scomparsa appena la pianta diventava secca.

Per l’ammaluocchio (il malocchio), per la sciajatica, la scoffatura, per la vermenara ed altri mali spesso si ricorreva all’inciarmatore. Gli inciarmatori, o inciarmatrici, erano coloro che avevano imparato particolari preghiere durante la notte di Natale e, recitando queste preghiere e segnando col pollice sulle parti doloranti, mandavano via il dolore.

Vittime del maleficio potevano essere non solo le persone, ma anche cose e animali. Ecco perché quando si incontrava un bambino si diceva: « Diu lo benedica, non ce voglio accoglie ammaluocchio »; se si entrava in una casa ove la padrona stesse preparando il pane si esclamava: « Crescenza » oppure « Santo Martino ». Veniva risposto « Bonvenuti ». Alla vista di un maiale o di un vitello si diceva pure « Santo Martino ».

Il maleficio provocava forte dolore di testa e malessere generale. Per eliminarlo l’inciarmatore procedeva in questo modo: si accostava alla persona che ne era vittima, con un piatto pieno d’acqua, faceva col pollice tre croci sulla sua fronte, indi intingeva l’indice in una lucerna e, facendo cadere nell’acqua alcune gocce d’olio, recitava mentalmente:

Uocchi ammaluocchio

e cuornicielli a l’uocchio

crepa la mmidia

e schiatta ammaluocchio

Fui fui uocchio tristo

ca mo passa San Francisco

San Francisco è passato

l’ammaluocchio è schiattato.

Fui fui uocchio tristo

due ammaluocchi t’anno visto

due santi t’anno liberato

la Madonna cu Gesucristo.

E continuava così fino a quando le gocce d’olio fatte cadere nel piatto non si espandevano più, formando dei cerchi concentrici, verso la tesa del piatto[32]. Se il dolore di testa persisteva, l’inciarmatore faceva finta di sputare o metteva nel piatto un po’ di fuoco per costringere il malocchio ad andar via. L’acqua usata doveva essere buttata in un luogo ove nessuno potesse passarvi: chi l’avesse fatto sarebbe stato vittima dello stesso maleficio.

Per la vermenara, dopo aver segnato la pancia col pollice l’inciarmatore mentalmente recitava:

Lunedì santo

Martedì santo

Mercoledì santo

Giovedì santo

Venerdì santo

Sabato Santo

Tutti li juorni vene Natale

de dommeneca vene Pasqua

verme puzzolente ‘nterra casca.

Per i forti dolori di pancia di ignota causa, sempre dopo aver fatto tre volte il segno della croce, invece, si recitava:

Santo Martino da Roma venisti

u marito è buono e a mugliera è trista

acqua spasa paglia e rasa

fui male e ventre da donna venisti.

Per la ponta (dolori reumatici alle spalle) si diceva:

Santo Martino da Roma venisti

‘mponta a la spada

la ponta portasti

ti tronco, ti rompo e ti percanto

‘nome del Padre, Figliuolo e Spirito Santo.

Per fermare la fuoriuscita del sangue dopo un taglio bisognava fare sulla ferita il segno di croce con l’oggetto che l’aveva provocata e recitare:

Fierro che da Napoli venisti

passasti lu fuoco e nun t’appicciasti

passasti l’acqua e nun te nfunnisti

nun ammarci, nun assanqui

fa come fussino le piaghe di Cristo.

E poi c’era ancora la pratica della capo aperta, del sole solare, del puzo ‘ncravaccato, ecc.

Per la capo aperta (forte dolore di testa), bisognava fare col pollice il segno della croce e stringere forte la testa in una fascia, ricavata piegando più volte un fazzoletto, e recitare particolari preghiere.

il sole solare (insolazione) si poteva diagnosticarlo ed eliminarlo mettendo sulla testa una salvietta di tela, prima dello spuntar del sole e dopo il tramonto sotto un bicchiere colmo d’acqua. Se l’acqua bolliva era segno che si era stati colpiti da forte insolazione; diversamente, il dolore era d’altra natura.

Per le slogature al polso si usava fare u puzo ‘ncravaccato, la tal cosa poteva essere fatta con due fusi solo da due gemelle, che recitavano, girando torno torno al poso i due fusi, per tre volte:

Due sorelle simo,

da Venezia venimo

stu puzo ‘ncravaccato

scravaccà lu vulimo.

E infine per il mal di schiena si usavano fare e coppe a viento. Si procedeva così. Dopo aver legato in una pezzuola un soldo antico di rame o d’argento, si accendevano i bordi di questa pezzuola e si poggiava sulle spalle dell’ammalato. Immediatamente si copriva con un bicchiere il soldo e si spegneva il fuoco; sul segno rosso lasciato dal risucchio dell’aria contenuta nel bicchiere venivano fatti ripetuti massaggi. L’operazione doveva essere ripetuta per quattro o cinque volte e in punti diversi.

E parliamo del lupo mannaro e delle streghe. I lupi mannari (penari) erano quelle persone che avevano avuto la sfortuna di nascere allo scoccare della mezzanotte di Natale. Nel corso dell’anno non facevano alcun male, ma la notte di Natale si trasformavano in pericolosi lupi, che potevano essere riportati alla normalità solo se fossero stati punti e avessero versato qualche goccia di sangue.

Streghe (janare)[33] si poteva nascere o diventare (e queste ultime erano le più pericolose). Chi nasceva allo scoccare della mezzanotte di Natale era, suo malgrado, una janara. Chi invece, mettendo sotto i piedi il Crocifisso e imprecando, avesse invocato il Diavolo lo diventava subito. Le janare agivano intorno alla mezzanotte, soprattutto durante le gelide notti invernali. Potevano, dopo essersi unte con un olio particolare, diventare invisibili e oltrepassare con facilità una porta ben serrata. Ecco perché dietro le porte, soprattutto a quella della camera da letto, venivano messi la scopa, un sacchetto contenente sale o sabbia e palme benedette. Se c’era la scopa, la janara per entrare doveva contare tutti i fili di saggina che la formavano. Se invece vi erano il sale o la sabbia doveva contarne tutti i granelli. Per questa operazione sarebbe occorso molto tempo, e scoccata che fosse la mezzanotte la janara non era più in grado di operare. Le streghe erano pericolose soprattutto per i bambini. Un bambino « toccato » da una janara moriva mpilo mpilo (lentamente). Nelle stalle, se veniva trovata la coda della giumenta o dell’asina intrecciata in modo complicatissimo, era segno che vi era stata la visita di una qualche janara. Chi poi fosse riuscito a prendere una strega, poteva essere tranquilla per sette generazioni a venire: infatti la janara, per essere liberata prometteva di non molestare più, né lei né le sue amiche, quella determinata famiglia. Ecco quale era il modo per catturare una strega. Sistemata una lucerna sotto una mesura (misura), si attendeva l’arrivo della strega e, appena questa entrava in camera, la si afferrava per i capelli scoprendo fulmineamente la lucerna. La strega vistasi perduta chiedeva: « Che tieni mmano? ». « Fierro e azzaro » le veniva prontamente risposto. Guai se anziché rispondere « Fierro e azzaro » si fosse data quest’altra risposta: « Tengo li tuoi capilli ». La strega se ne scappava dicendo: « E i me ne fujo com’a ‘na ‘nguilla ».

Non si potevano nominare le janare se prima no si fossero incrociati i piedi o chiuso il pugno: le janare avrebbero potuto sentire ogni cosa e di conseguenza vendicarsi.

Altro terribile maleficio che poteva capitare era la fattura. La fattucchiera poteva ma non doveva essere necessariamente una janara. Per togliere le fatture bisognava rivolgersi ad un mago (maone) oppure a qualche sacerdote di intemerata vita; solo costoro avrebbero potuto eseguire l’esorcismo. Questo maleficio veniva fatto su commissione. Molte volte un fidanzato o una fidanzata traditi si rivolgevano, per vendicarsi, alla fattucchiera. Per fare la fattura, si diceva che occorreva gettare addosso alla persona, per cui si nutriva odio o rancore, una polvere, però, prima di essere usata, doveva essere consacrata e su di essa bisognava recitare diaboliche parole. Per consacrarla, bisognava, con uno stratagemma , metterla tra la pietra santa e la tovaglia dell’altare. Si diceva che il sacerdote di solito, prima di consacrare l’ostia, testasse ripetutamente il piano dell’altare per paura che qualcuno avesse potuto approfittarne.

Per rimanere immuni da questo maleficio e da altri bisognava portare addosso un paio di forbicette aperte. Ve ne erano, per questo scopo, alcune piccole e pieghevoli.

 

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[31] Oppure: Di veneri e di marte.

[32] Se sul piatto si formava un cerchio era stata una donna a fare il malocchio, se una linea ondeggiante, a mò di serpente, un uomo.

[33] Sull’origine della parola strega o janare v. A. De Blasio, Guardia Sanframondi, Tip. Gentile, Napoli, 1961, p. 102.